Due Davide si scambiano impressioni sulla gastronomia: a sinistra il critico dell’Espresso Davide Scapin Giordani, a destra il cuoco Davide Tangari

 

 

 

 

 

 

Per fortuna non è diventato avvocato come volevano i genitori. Ne ha guadagnato lui e anche noi. Non l’ha fatto non tanto perché avesse ragione Cassandra quando in quel film di Woody Allen che nel 1996 fece incetta di premi, La dea dell’amore, preconizzava: “Vedo disastri. Vedo catastrofi. Peggio: vedo avvocati”. E ci fermiano qui, perché la considerazione della categoria è direttamente proporzionale alla velocità degli aforismi sferzanti, che sul tema viaggiano alla velocità di Lewis Hamilton in Formula 1, se pure Paolo Conte cantava con un filo di pudore: “Ah, formidabile! Il tuo avvocato è proprio un asino! No, certe cose non si scrivono, che poi i giudici ne soffrono”.

         Davide Tangari a 28 anni è senz’altro uno dei migliori cuochi del Padovano, fatto salvo l’inarrivabile genio di Massimiliano Alajmo. È sbocciato da pochi mesi ma alle spalle ha parecchia esperienza, che prima ha introiettato e quindi rielaborato. È un cuoco interessante per molti motivi: per il suo coraggio a provare abbinamenti non scontati, per la fedeltà alla tradizione, che non rinnega ma reinterpreta felicemente; per la sua “forza tranquilla” che punta al risultato senza cercare clamori o facili effetti per stupire. Non c’è dubbio: ha una marcia in più rispetto a molti suoi colleghi. La famiglia, che non è stata contenta della sua decisione, ha motivo di essere soddisfatta dai suoi risultati di oggi.

Cuore di vitello e gamberone alla brace con bisque di gamberoni, nocciole e alloro.

Dopo il liceo scientifico a Melegnano, Davide ha scelto un’altra strada rispetto a giurisprudenza e s’è iscritto all’Alma di Gualtiero Marchesi, con cui pure, raggiunta la laurea, ha lavorato al Marchesino. Non s’è fermato lì, perché ha sgobbato nelle cucine di Antonino Cannavacciuolo al “Villa Crespi” di Orta, con Enrico Cerea al tristellato “Da Vittorio”, all’Oseleta di Cavaion Veronese, con Oliver Piras del ristorante Aga a San Vito di Cadore (Belluno). Non è diventato avvocato, quindi, né – come temono i detrattori – quella forma laoocontica citata da Paolo Conte formata da metà leguleio e metà quadrupede dalle lunghe orecchie. È un cuoco. E va detto subito che è uno dei più capaci e riservati del Padovano, ma anche del Veneto. Mette insieme molti fattori: un personale talento indiscutibile nell’avvicinare i gusti; e poi sfrutta le tecniche innovative imparate da Aga, l’organizzazione assimilata da Vittorio, il gusto del classico trasmesso da Marchesi, il rigore e la pasticceria che sono un faro a Villa Crespi. Tutti questi elementi oggi Davide li riporta nei suoi piatti, in stile contemporaneo, rispettando le materie prime, calibrando tradizione e tecnica. E se gli ispettori della guida Michelin non sono distratti, una stella – comoda comoda – ci sta tutta per questo cuoco che a 28 anni ha un curriculum lucente e fa uscire piatti di ricerca, di alto livello e di gusti puliti dalla cucina del ristorante “Valbruna” a Limena, aperto da nove mesi.

Il finto riso, patate e cozze: un ricordo della Puglia e del papà che ogni domenica lo preparava. Ma a questo piatto manca il riso, sostituito dalle patate

È vero che, per tornare nella prima metafora, vive fianco a fianco con un paio di dee nel suo locale: la prima è Elisa Vianello, portabandiera dell’impresa di famiglia che ha realizzato il sogno di ristrutturare l’antica distilleria Valbruna e ricavare un locale gourmet cui ha lasciato lo stesso nome. Il tutto qualificando con un locale di classe una cittadina che sembra la periferia produttiva di Padova. L’altra dea è Alessandra Dinato, vale a dire la grazia come solo una donna a 33 anni può dimostrare, fatta di consapevolezza e professionalità, che si trasforma in sommelier: sorriso aperto, precisione, competenza certificata dal lavoro con Gordon Ramsey, più due anni di studio “matto e disperatissimo” a Londra per il diploma wset di quarto livelo. Ha vissuto da segregata in casa in condizioni quasi monacali, perché lo studio la assorbiva al punto da dover rinunciare a ogni vita sociale. Del resto doveva prepararsi bene, perché se si lavora tre anni allo “Square restaurant” in cui ti esaminano la divisa due volte al giorno neanche fosse la rivista dei marines ispezionata dal sergente maggiore Hartman di Full metal jacket, non si possono commettere errori; si deve studiare è sempre perché al “Maze” con Gordon Ramsey (“Giuro, è una persona gentile”, confessa lei) si vive in competizione continua, ogni sommelier mette alla prova i colleghi, snervandolo su quella bottiglia o quel piatto da conoscere in dettaglio. Quasi una vita da bullizzato. Ma ne vale la pena, se poi si servono i cocktail a David Beckam e sua moglie Victoria delle Spice girls, o magari si porta un drink in camera a Johny Depp mentre un pari della Camera dei Lord attende il suo scotch al bar specchiandosi e curando la chioma con il pettinino che porta nel taschino.

Alessandra Dinato, 33 anni, sommelier d’ esperienza: in cinque anni a Londra ha lavorato anche con Gordon Ramsey. Ha lavorato anche al “Feva”. Qui sotto “il crudo con il guscio”: un antipasto di molluschi che viene proposto al “Valbruna”.

Davide ha trovato anche un direttore di sala, nonché mananger del bar, Christian Lorenzato (con lui nella foto sotto), che ha esperienza e soprattutto cento occhi come la Medusa. Fa schioccare idealmente la stessa frusta che usava Mangiafuoco con Pinocchio trasformato in ciuchino (ogni tanto l’asino ritorna, a proposito della metafora di cui sopra) anche con lo chef quando non vuole ascoltarlo, per esempio nel piatto “Cuore di vitello e gamberone alla brace, con bisque di gamberoni, nocciole e alloro”: il cuore cotto anziché crudo si abbina meglio al crostaceo, aveva ragione lui. Studiati e progettati da Christian, i drink di Valbruna fondono cucina e mixology; infatti sono serviti sia al bar e sia durante pranzi o cene.

Infine, Davide governa da capitano sul ponte della nave molti compagni d’avventura, che non sono degli sprovveduti praticanti avvocati alla Tom Cruise ne Il socio. Nella cucina a vista che è la tolda di comando del locale, suddiviso tra ristorante gourmet e bistrot (trenta posti l’uno e altrettanti il secondo) lavorano Massimo Ferrarese, con esperienze da Alajmo, Alexander Totu, Riccardo Finco. Bartender è Andrea Camparmò, 23 anni, vicentino: la famiglia è scesa dai monti di Valli del Pasubio fino a Bertesinella di Vicenza. Il Comune d’origine ha 28 acquedotti privati e lui ha messo a frutto l’esperienza di incroci e miscela l’impossibile. Il risultato sono cocktail da abbinare ai piatti: uno è a base di sakè e whisky giapponese, in un altro prende vita l’Antica formula di Carpano, il gin “Tanqueray”, il bitter “Campari” e il bitter “Gagliardo” della distilleria Schiavo di Vicenza, giunta prima nella sezione italiana dei bitter italiani nel concorso del migliore liquore al mondo. Scusate se è poco, tanto per citare Totò che detta la famosa lettera a Peppino destinata alla Malafemmina.  I piatti di Tangari sono interessanti perché uniscono semplicità a ricerca. Lo dimostrano i “Bottoni di daikon con verdure e il suo fondo (senza sale), salsa di rucola e rapanelli freschi”. Si tratta di un piatto vegetariano (nella foto sotto) che esalta la croccantezza e le salse che lo proiettano ad alti vertici di gradimento. Se il cuore e gambero sono stati proposti da Alessandra con un vino spagnolo, Louro de Boro Valdeorras DO, Rafael Palacios, per i bottoni di daikon si torna a Custoza, vicino Verona, con un Bianco 2917 di Monte dei Roari.

Andrea Camparmò, di Vicenza, è il bartender del locale. Qui sotto, i “Bottoni di daikon ripieni di verdure”: croccanti

Per i cento anni del Negroni, Davide decide di far assaggiare gli ingredienti anche nel piatto, composto da un pacchero monogramo “Felicetti”, animelle, riduzione di peperone (un’estrazione che ha impiegato due giorni) e, appunto un Negroni. Che è proposto in abbinamento con il cocktail accennato poco prima.  Ecco, qui sotto, i paccheri alle animelle.

Una delle vette raggiunte dal cuoco è il Finto riso di patate, crema di cozze, cipolla agra e pomodoro confit. Qui riemergono le radici di Davide, che affondano nella Puglia: “Papà ogni domenica preparava la pasta con cozze e fagioli”. Lui l’ha rifatta a modo suo: la patata olandese, fatta crescere dal fruttivendolo del paese come la vuole lui, sostituisce i chicchi di riso nel piatto. Che non appare. Abbinato L’archetipo Puglia 2015 Litr8.
Un secondo inconsueto è il rollé di murena, pesce difficile da trovare per le sue duecento spinte per lato da togliere. Serve molta pazienza. Davide e la sua squadra hanno presentato la murena cotta alla brace in erbette aromatiche con salsa al tamarillo e cipollotto. Qui è stato abbinato un vino tedesco, un Rheingau Riesling, Prinz. Il secondo di carne è rappresentato dal piccione in due cotture, con il suo fondo alla Guinness, lampascioni e invidia alla curcuma. È abbinato con un rosso Collioure 2017, Domaine de la Rectorie. 

Il dolce è un gioco: uovo e asparagi che in realtà sono fili di cioccolato. E’ una raffinata combinazione che è abbinata a un altro cocktail: Milk punch grappa Nardini. Un omaggio all’azienda di Bassano, guidata da Angelo Guarda Nardini, da parte di Christian Lorenzato che non dimentica di essere bassanese. Di recente, al Vinitaly, la Nardini ha presentato in una veste particolare la sua nuova grappa per il 240esimo della fondazione, avvenuta nel 1779. Ecco la bottiglia che presenta una grappa invecchiata 22 anni. E’ la prima volta che viene prodotta. Eccola nella foto sotto.