Gianni Mura, 73 anni, giornalista e scrittore, è uno dei massimi esperti di enogastronomia in Italia.

Il cuoco oggi deve avere sette sensi. Ai cinque conosciuti vanno aggiunti il sesto senso, l’intuito, e il settimo che è il buon senso, “quello che tiene con i piedi per terra ma non impedisce di sognare”. Parola di Gianni Mura, 73 anni, giornalista e scrittore, che ammette di non sapere cucinare nulla, neanche due uova al tegamino, ma – aggiunge – ha sessant’anni di esperienza nel mangiare fuori casa. In realtà, Mura è uno dei massimi esperti italiani di enogastronomia, inviato di Repubblica, giornale che ospita la sua celebre rubrica di cibo e vino, firmata assieme alla moglie Paola. Mura ha tenuto nel Vicentino una lectio magistralis intitolata “Dimenticare per ricordare. La cucina: un messaggio antico che ha radici nel passato”. Il suo intervento ha concluso dopo sei mesi le lezioni al Master della cucina italiana a Creazzo, nato sotto l’egida della Confcommercio locale e di Raffaele e Massimiliano Alajmo. Il master ospita le lezioni di numerosi tra i maggiori cuochi italiani. Ecco, in sintesi, le più vivaci riflessioni di Mura: sono sedici paragrafi, così possiamo chiamarlo decalogo… più sei corollari.

I cappelletti emiliani preparati dai ragazzi neo-diplomati del Master della cucina come saggio finale all’incontro di Creazzo

ARTIGIANI. La cucina, ha spiegato Mura, ha radici nel passato e avrà un buon futuro se sa vivere nel presente. Vivere nel presente vuol dire non ignorare il passato, anzi considerarlo un giacimento da esplorare, una vena aurifera non esaurita. Vuol dire avere cultura e tecnica, manuale, non solo libresca.

CLIENTI IGNORANTI. Fare il cuoco significa svolgere un mestiere faticoso, ricco di soddisfazioni (la migliore soddisfazione d’un cuoco dev’essere la soddisfazione del cliente) ma anche delusioni. Non credo al genio incompreso. Credo che circolino molti clienti ignoranti, nel senso etimologico della parola. Quelli che “questo prosecchino è molto meglio dello Champagne”, prosecchino magari comprato a tre euro al supermercato, e chissà se hanno mai assaggiato Champagne. Quelli che spremono due fette di limone sulla frittura di pesce, ammosciando il croccante. La maggior parte di quelli che scrivono su Tripadvisor e cose analoghe. Quelli che uno si chiede se esistono davvero, e in che mondo vivono. Quelli che scrivono: “Con mia moglie abbiamo festeggiato l’anniversario di matrimonio con un’ottima cena a base di pesce. Benissimo i piatti, ma troppo salato il conto: 70 euro in due con una bottiglia di vino bianco”. Bisognerebbe replicare: vai tu al mercato e compra il pesce, vediamo quanto spendi e se poi hai il coraggio di lamentarti.

PORNOGRAFIA GASTRONOMICA. L’Italia ha 60 milioni di commissari tecnici, frase vecchia per dire che, nel calcio, tutti sdottorano. Dal calcio alla ristorazione, l’Italia ha 60 milioni di chef, di cuochi e cuoche, di avventori, di blogger, di critici enogastronomici. Scrivendo di entrambi gli argomenti, calcio e cibo, posso dirlo. Le responsabilità, le colpe sono da dividere tra le tv e il web. È praticamente impossibile accendere un televisore e non trovare qualcuno che affetta, sobbolle, sfiletta, guarnisce, assaggia, frigge. Questa inondazione Carlin Petrini la definisce pornografia gastronomica. Con minore finezza, io la definisco una schifezza. Non uso volutamente il termine porcheria o porcata per via della stima che nutro nei confronti dei suini.

LA SCEFFA. La parola chef non prevede il femminile. Solo a Firenze, città ironica, ho trovato “la sceffa” scritto sulla lista dei piatti. Salvo errori, le donne-chef in Italia sono 43, buon numero, quasi un quarto di quelle operanti nel mondo (169).

Ostrica e banana: abbinamento che a prima vista può sembrare azzardato, in realtà è azzeccato. Anche questo piatto preparato dai ragazzi del Master vicentino

 

 

 

C’È UN’ALTERNATIVA ALLA CUCINA SPETTACOLO IN TV. I programmi cosiddetti specializzati hanno un format basato sull’esclusione, come l’Isola dei famosiBallando sotto le stelle e tanti altri. L’audience s’impenna quando scorre, metaforicamente, il sangue. Sul cibo e sul vino sono convinto che si possano ideare programmi non noiosi, che fanno cultura e non spettacolo. Se oggi rivediamo qualche puntata di mezzo secolo fa, condotta da Mario Soldati o da Luigi Veronelli, due giganti, non occorre aggiungere altro.

USCITI DALL’ANTRO. La Nouvelle cuisine, che molti in Italia non hanno ancora imparato a scrivere, non dico a eseguire. La nouvelle cousine, la nuova cugina, sembra il titolo di un film porno. Ma lasciamo andare. Ha avuto molti meriti, ha tolto il cuoco dall’antro della cucina e lo ha nominato interprete e ambasciatore di un nuovo gusto, più complesso e leggero.

CHI PENSA ALL’ACQUA? Noto più sensibilità e allarme sull’alimentazione dei vitelli e delle galline che dei tonni e delle spigole. Il cuoco responsabile deve sapere cosa contiene quello che andrà in tavola. E se la Terra è malata, malate le sue acque, i fiumi e i laghi, servirebbero diecimila Greta a ricordarcelo, non è che i mari stiano benissimo di salute.

 

Gianni Mura assieme al presidente dell’Esac, Sergio Rebecca, a Massimiliano Alajmo e a Mauro Defendente Febbrari, medico e gastronomo di vaglia.

 

 

L’ISPIRAZIONE ANTICA. Franco Colombani, che aveva lasciato la Normale di Pisa per dedicarsi alla ristorazione, eletto due volte presidente mondiale dei sommelier, era anche un appassionato collezionista di libri antichi. Un cliente francese, mangiata di gusto un’insalata di lombo di lepre con melograno e uvetta, gli fece i complimenti: “C’est de la grande Nouvelle cuisine”. “Plus ancienne que nouvelle”, rispose lui, appoggiando sul tavolo il libro che gli aveva ispirato il piatto. Bartolomeo Scappi, 1685.

IL MAESTRO. La cucina italiana ha due tempi: prima e dopo Gualtiero Marchesi. Non lo ricordo solo per il raviolo aperto, o per la lamina d’oro sul risotto allo zafferano. Lo ricordo anche per il pranzo offerto alla critica cittadina per festeggiare le tre stelle: mesciua e bolliti misti, tanto per dimostrare che gli piaceva la musica dodecafonica ma anche la mazurka.

 

VINO. La penso come Brillat-Savarin: “Un pasto senza vino è come un giorno senza sole”. E quasi come Baudelaire: “Ogni astemio ha qualcosa da nascondere”.

LA CULTURA E’ FONDAMENTALE. Fu Marchesi nel 2008 a contestare (e rifiutare) i voti della guida Michelin, e a giudicare scandaloso che l’anno prima ci fossero in Italia 5 ristoranti tre stelle e in Francia ben 26. Ed era molto colto: arte, musica, letteratura. Non è un caso che il più colto degli chef italiani, Massimo Bottura secondo me, sia anche il migliore. Quando parlo di cultura, non alludo a specialisti saccenti e noiosi, a topi da biblioteca. Più semplicemente, mi piacerebbe che chi lavora in questo mondo avesse almeno un’infarinatura sulla storia di molti alimenti, che sono diventati domestici, nostri, ma in origine non lo erano. Prendete i pomodori. Se qualcuno afferma che Leonardo da Vinci era ghiotto di pomodori bisogna correggerlo: è impossibile, perché il pomodoro in Europa arrivò nel 1540 con Hernan Cortes. Leonardo, semmai, poteva aver gustato la polenta di mais e il peperoncino piccante, portati nel 1493 da Cristoforo Colombo.

SCIENZA, ARTE E CONFUSIONE. Diceva Gualtiero Marchesi: “La cucina è scienza, sta al cuoco farla diventare arte”. È vero, ma una nobile forma d’artigianato è già qualcosa. La scienza è esatta ma fredda, il calore dell’estro o della passione può trasformarla. Ma senza scienza e conoscenza estro e passione non portano all’arte ma al fumo negli occhi, alla confusione.

Il risotto allo zafferano e Campari: anche questa una preparazione del saggio finale

STUPIRE A TUTTI I COSTI? MEGLIO DI NO. Stupire qualche volta si può, ma sempre no. Spiegava Antoine de St. Exupéry, il papà del Piccolo principe: “La perfezione non si raggiunge quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più nulla da togliere”. Ma non bisogna esagerare: a Roma specialmente si sta affermando la moda delle tre parole per tre ingredienti. Esempio: riso, gambero, caffè. Meno esauriente, si è obbligati a chiedere in che consista il piatto, a scanso di sorprese.

CAMIONISTI. Una volta i camion parcheggiati fungevano da guide gastronomiche: si mangiava tanto e a poco prezzo. Adesso quando vediamo la pubblicità all you can eat non è la stessa cosa?

TOVAGLIE E BATTERI. Ho sempre guardato con sospetto le tovaglie in lino di Fiandra lunghe fino a terra. Mi davano l’idea di essere in un casino alla Fantozzi. Ma neanche capisco la moda attuale per cui sono sparite del tutto le tovaglie: neanche un fazzoletto sul tavolo. “È un ciclo virtuoso – mi hanno spiegato – Meno tovaglie si lavano e più si contribuisce a salvare la Terra”. Nobile intento. Nel frattempo, però, chi si preoccupa di salvare i clienti dai batteri?

SETTE SENSI. È vero che la cucina gratifica i cinque sensi. L’udito un po’ meno, ma se l’aggettivo più in voga è croccante l’udito non è escluso. Ne esistono altri due, che non si comprano al mercato né su Amazon. Il sesto senso, cioè l’intuito, l’indovinare una nuova strada, e il buon senso, quello che tiene con i piedi per terra ma non impedisce di sognare.