Antonio Di Lorenzo

La gastronomia è specchio dell’immortalità e le “Buone tavole” vicentine sanno come cucinarla

L’IMMORTALITA’ FINISCE NEL PIATTO. La cucina è specchio dell’immortalità, perché eterna la cultura e la memoria (e non solo i gusti passeggeri). Basti pensare al baccalà conosciuto in tutta Italia da cinquecento anni e servito in cento maniere differtenti; oppure alla pasta, regalo degli arabi nel IX secolo alla Sicilia: quella pasta corta prodotta per prima a Palermo risalì tutta la Penisola toccando Napoli e trasformandosi anche in spaghetti; oppure basta riflettere sulle salse, che sono una scoperta del Medioevo, a torto definito buio, e che rappresentano in profondità l’identità italiana, come il pomodoro racconta assai bene ancora oggi. A cercare questa identificazione tra i piatti e l’anima immortale ci pensano i cuochi vicentini associati da trentanove anni alle Buone Tavole dei Berici. La nuova rassegna l’hanno battezzata proprio così: “Orizzonti berici tra cibo, contaminazioni, storia e immortalità dell’anima”. I piatti sono sempre frutto di un’incrocio di culture e popoli, mentre è la seconda volta che si tira in ballo l’immortalità dell’anima nell’enogastronomia. L’unico precedente è quello del grande Achille Campanile (sua fra l’altro la battuta “Agosto, moglie mia non ti conosco”) che intitolò un suo libro “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima”. Siccome era un umorista, l’accostamento per lui aveva solo un significato fonetico: gli piaceva come suonavano assieme le parole, ma nel libro spiegò che gli asparagi non c’entrano niente con l’immortalità dell’anima.

Viceversa, come spiegato poco sopra, un legame tra gastronomia e immortalità è rintracciabile, anzi è ben vivo.

I cuochi delle Buone Tavole dei Berici: da sinistra Giuseppe Zamboni, Monica Gianesin, il coordinatore Giovanni Veronese, Roberto Berno, presidente dell’associazione attiva da 39 anni, Renato Rizzardi e Davide Pauletto.

 

LA RASSEGNA DELLE “BUONE TAVOLE DEI BERICI”. Coordinata da Giovanni Veronese e sostenuta dalla Confcommercio vicentina, la rassegna si articola in cinque incontri che inizieranno il prossimo 6 giugno alla Locanda di Piero e proseguiranno sino al 26 marzo del 2020. Alla sfida su questo tema partecipano cinque cuochi di altrettanti locali: Roberto Berno della trattoria Al Sole di Castegnero, che è anche presidente dell’associazione; Renato Rizzardi, che assieme a Sergio Olivetti è titolare della Locanda di Piero di Montecchio Precalcino; Davide Pauletto de Le Vescovane di Longare; Monica Gianesin, assieme alla sorella Manuela è titolare della trattoria Isetta in Val Liona; Giuseppe Zamboni, della omonima trattoria di famiglia a Lapio di Arcugnano.

        Spiega Renato Rizzardi: “All’immortalità ci avviciniamo con il nostro lavoro, proprio perché realizziamo piatti che ci auguriamo restino nella memoria”. E la memoria si tramanda. La tradizione, ricorda sempre Davide Paolini, il Gastronauta, è figlia della memoria perché è un’innovazione ben riuscita. Prosegue Rizzardi, che non si nasconde gli ostacoli da superare: “L’idea è di crescere assieme in un territorio che ha bisogno di unità e di sviluppo, perché adesso soffre di una perdita d’identità: esiste, infatti, una grande offerta gastronomica che non ha niente a che fare con la tradizione”. Davide Pauletto sottolinea i temi etici del lavoro dei cuochi: “Valorizzare il territorio è sempre più un imperativo, perché questo obiettivo è spesso perso di vista dalla nuova ristorazione emergente, che punta solo a semplificare. Inoltre, evitare gli sprechi e creare cultura devono essere due riferimenti etici precisi”.

Le “moeche” sono un tipico piatto della cucina: queste sono preparate da Serena Franzolin dell’Osteria Frase di Piove di Sacco (Padova) e sono presentate in de versioni, fritte e “in saor”, sulla sinistra, coperta da cipolla.

LA CUCINA VENETA E’ UN CROCEVIA DI MONDI.Il filo rosso della rassegna è indicato da Giovanni Veronese: “La cucina veneta è un crocevia di mondi, di gusti e usanze, che riportano sulla tavola sapori, profumi e modelli di civiltà che hanno interagito con quella veneta. Nel Rinascimento, per esempio, Venezia è una porta d’Oriente che, oltre alle spezie lascia spazio a sistemi di cottura come la frittura o lo spiedo, senza contare la cucina kasher che dal tardo Trecento si inserisce a Venezia e in Terraferma, dando vita a piatti che poi sono entrati nell’uso comune, come la salsa verde per i bolliti o la ricetta invernale delle sarde in saor. Anzi, il saor prima che un piatto è un sistema per conservare i cibi: l’olio contiene polifenoli e l’aglio è un batterio statico”.

Proprio al tema degli incroci e delle reciproche influenze è dedicata la serata inaugurale del 6 giugno, intitolata: “La leggenda della Porta d’Oriente, il riso, le spezie e l’influenza orientale nel Veneto, dalle preparazioni alle cotture”. Il 26 settembre sarà nientemeno che Carlo Goldoni l’ispiratore della serata, che è dedicata alla cucina nel suo teatro: nelle sue commedie, infatti, si trovano molti riferimenti ai cibi del Settecento veneziano, a cominciare dalla polenta fino al caffé. Il 21 novembre si parlerà di uova, cacciagione di piuma e piatti legati all’aia con l’uovo primo protagonista di molte pietanze, senza dimenticare che carne significa anche frattaglie. Il 6 febbraio sarà la volta dei tagli del bollito, altro glorioso piatto della cucina veneta, mentre il 26 marzo la serata è dedicata al pesce e alla laguna.