Antonio Di Lorenzo

Ostriche e champagne, un mito: ma avete mai assaggiato l’ostrica in tempura? Incredibile

Ostriche e champagne è un classico entrato nel mito afrodisiaco, forse perché già Giacomo Casanova ne consumava quantità esagerate. Isadora Duncan (che fu amante del poeta russo Sergej Esenin, le cui Confessioni di un malandrino Angelo Branduardi ha trasformato in una struggente canzone) raccontava che lei aveva imparato a ballare piena d’euforia già nel grembo di sua madre, che non mangiava altro durante la gravidanza. Sul mito non si discute, va accettato e basta perché indaga la nostra essenza, come ha dimostrato Cesare Pavese con i suoi Dialoghi con Leucò.

 

Ma, messo da parte il mito, avete mai provato ad assaggiare l’ostrica in tempura? Se non vi è mai capitato, andate a gustare questa specialità all’Osteria Frase di Piove di Sacco (provincia di Padova) per capire come un prodotto di alto livello possa rivelarsi un’ulteriore sorpresa. L’idea e la realizzazione del piatto sono di Serena Franzolin, cuoca cresciuta alla scuola di Gualtiero Marchesi, contitolare assieme al marito, Francesco Luise, del locale specializzato in cucina di pesce di alta qualità. Nella foto, l’ostrica in tempura abbinata allo champagne dosaggio zero Brut Nature della Laurent-Perrier.

L’ostrica utilizzata è quella rosa polesana, coltivata nella Sacca di Scardovari da Alessio Greguoldo, 43 anni, che quattro anni fa ha creato una società assieme a Florent Tarbouriech, guru internazionale dell’allevamento di ostriche. Il metodo rivoluzionario applicato è la coltivazione in verticale, che consiste nell’incollare le ostriche a mano lungo una corda e, grazie a un argano, alzarle e abbassarle ottenendo lo stesso effetto delle maree atlantiche. La coltivazione in verticale è utile perché le ostriche mangiano di più. Grazie a questo movimento programmato, che sfrutta pannelli fotovoltaici si ottengono risultati eccellenti. E spieghiamo perché questa Perla del Delta, come è stata battezzata, è anche migliore di quella francese, come precisa Luca Scarpa, esperto del settore, che si spinge a definirla come “la migliore del mondo”. Ha i suoi motivi, che tecnicamente dipendono prima di tutto dall’indice di riempimento, che è la percentuale della massa carnosa senza la conchiglia rispetto alla massa totale prima dell’apertura. Questo indice, nel caso della Perla del Delta arriva al 27%, il che la colloca nella fascia delle ostriche Grand Cru, cioè al terzo livello dopo quello delle fine de claire e le spéciale de claire.

Insomma, l’ostrica polesana è più carnosa delle altre. Ma non è tutto. C’è anche una questione di gusto, che è determinato dal sole (che fornisce la colorazione rosata durante l’esposizione) e dal particolare ambiente in cui cresce: la Sacca di Scardovari, infatti, risente dell’acqua marina e anche di quella dolce del Po, che pure non sfocia direttamente nella Sacca. Spiega Scarpa che “l’ostrica grand cru ha un gusto simile all’umami, (cui è sensibile gran parte della nostra lingua) e si spinge sino agli aromi terziari, sfiorando anche qualche sentore di melone e anguria”. Nella foto accanto, Serena Franzolin e Francesco Luise; sotto, Alessandro Bartoli, Luca Scarpa e Alessio Greguoldo. 

Il risotto carnaroli San Massimo all’ostrica e al caviale “Adamas”, piatto preparato con sapienza e abbinato al Brut 2008, una grandissima annata.

Il Rosè di Laurent-Perrier, azienda che è stata la prima nel 1968 a creare questo champagne non millesimato

Le tre ostriche crude, di diversi calibri, che sono state servite come antipasto: l’ostrica rosa di Scardovari è prodotta da Greguoldo in 150mila pezzi l’anno

Esistono ostriche di diverse dimensioni, che si articolano su sei calibri: da cinque (il più piccolo) a zero, che arriva a sfiorare i 200 grammi. E tutte le dimensioni sono state passate tutte in rassegna nella serata dedicata al tema Ostriche & champagne Laurent-Perrier organizzata appunto dall’Osteria Frase a Piove di Sacco. Le ostriche crude di tre calibri differenti hanno rappresentato il primo assaggio del prodotto. Racconta Greguoldo che quello con l’ostrica non è stato un amore a prima vista: “All’inizio non mi piacevano, con quella consistenza molle e viscida”. Poi l’incontro con Florent Tabouriech, alle otto e mezzo della mattina, gli ha cambiato la vita. Ha smesso di coltivare cozze e mitili e ha iniziato a produrre ostriche: dai primi esperimenti nel 2010 è arrivato al primo impianto e a costituire la società nel 2016. In quattro anni lo sviluppo è stato continuo: il quinto impianto sarà inaugurato il prossimo settembre. “Da una produzione di 1000 pezzi a settimana adesso siamo a 3000, vale a dire 156mila ostriche all’anno”. La mortalità del prodotto è elevatissima: solo il 50% di quanto è seminato arriva a maturazione. In altre parole, sono collocate ogni anno oltre 300mila ostriche per averne la metà. Non solo. La quantità di lavoro necessaria è notevole: ogni ostrica viene presa in mano nel corso del suo ciclo produttivo, che dura 18 mesi, diciotto volte. Che, moltiplicato per 156mila pezzi, significa tre milioni di manipolazioni. Più un’altra infinità per le ostriche che si perdono per strada. Il 90 per cento del suo mercato è l’Italia.

 

L’ostrica “calibro zero” è diventata una squisita “parmigiana”. Serena Franzolin è cresciuta alla scuola di Gualtiero Marchesi.

 

Serena Franzolin ha saputo valorizzare in ogni declinazione il prodotto. Ha stupito tutti l’ostrica in tempura, che è stato (giustamente) indicato come il piatto migliore della serata. L’accompagnamento con il Blanc de Blancs di Laurent Perrier s’è rivelato perfetto. Come ha spiegato Alessandro Bartoli, che rappresentava la celebre azienda francese, quarta al mondo per la produzione di champagne, si tratta della novità presentata l’anno scorso: uno chardonnay in purezza che nasce dalle viti coltivate sulle colline di Reims. È una scelta in controtendenza rispetto alle usuali abitudini, ma che s’è rivelata vincente per questo Brut nature senza dosaggio, prodotto in appena in 40mila bottiglie. Va ricordato che Laurent-Perrier ha una produzione complessiva di 7 milioni e mezzo di bottiglie: l’azienda è guidata da Alexandra e Stephanie, figlie di Bernard de Nonancourt che l’ha rilanciata e il suo fatturato si aggira sui 250milioni di euro.

Il Brut millesimato 2008, una delle migliori annate degli ultimi vent’anni, ha accompagnato un altro pezzo forte della cucina di Serena: il risotto con ostriche e caviale Adamas, mentre l’ostrica calibro zero è stata trasformata dall’intelligenza della cuoca in una parmigiana di insospettato gusto. Per valorizzare il piatto è stato scelto il Rosè di Laurent-Perrier, pinot nero al 100 per cento, una cuvée che è la storia dell’azienda: la Laurent-Perrier, infatti, è stata la prima nel 1968 a produrre uno champagne non millesimato, questo rosè appunto.