C’è un vicentino che trecento anni prima dell’apertura del canale di Suez (1869) aveva proposto a papi e sovrani europei di tagliare l’istmo e collegare il Mediterraneo al Mar Rosso. L’antesignano del mega progetto è Filippo Pigafetta (1533-1604) che sbrigativamente si può definire un faccendiere del sedicesimo secolo, vista la molteplicità dei suoi interessi e degli affari che concludeva. In realtà fu un instancabile viaggiatore, ma anche un esploratore, un cartografo e soprattutto una spia. Però è meglio levarsi dalla mente Sean Connery e 007: la sua vita si svolgeva su altri binari. Era parente alla lontana del più celebre Antonio Pigafetta, che peraltro era già morto quando lui nacque. Lui lo indicava come uno zio.

Andrea Savio, storico e docente all’università di Padova: il suo libro su Filippi Pigafetta ha acceso un vasto interesse

A Filippo Pigafetta il giovane studioso Andrea Savio, 34 anni, dottore di ricerca in scienze storiche che insegna all’università di Padova, ha dedicato il suo ultimo libro: “Tra spezie e spie – Filippo Pigafetta nel Mediterraneo del Cinquecento”. Savio ha dedicato sette anni di studio a questa ricerca, recandosi anche in talune delle città toccate da Pigafetta per esplorare archivi pubblici e privati. Pubblicato da Viella, in quasi 170 pagine il libro racconta dieci anni delle peregrinazioni del Nostro, che tra il 1576 e il 1587 fa tappa a Suez, Madrid, Londra, Lisbona, Roma, Gerusalemme e Venezia.

UN CANALE, DUE OBIETTIVI. L’idea di scavare il canale di Suez forse l’ha assimilata in Egitto, unico Paese dove nasconde la sua identità e svolge in tutto e per tutto il mestiere di spia. Collegare il Mar Rosso al Mediterraneo è, infatti, un’idea antica, di cui si parlò in ambiente ottomano per tutto il corso del Cinquecento, in particolar modo con il gran visir  Mehmed Pascià, che muore nel 1579. Pigafetta riprende l’idea e la rilancia in Occidente perché aveva due questioni che lo ossessionavano: da un lato sognava un’altra Lepanto. Lui aveva partecipato nel 1571 a quella vera, la battaglia che segnò la sconfitta degli ottomani, ma aveva capito che i turchi non erano stati distrutti ed erano pronti a tornare. Come puntualmente avverrà con l’assedio di Vienna del 1673. Dall’altro lato Pigafetta cercava una via più veloce ed economica per il commercio delle spezie. Secondo Pigafetta, realizzare il canale di Suez avrebbe consentito di riconquistare l’Egitto e di risolvere definitivamente questi due problemi: assicurare la pace e risollevare l’economia. Nonostante la scoperta dell’America avesse fatto conoscere nuovi prodotti e avesse aperto nuove rotte commerciali, il traffico delle spezie – specialmente il pepe – sfruttava ancora in modo importante il Mediterraneo. Aprire una nuova strada veloce tra l’Occidente e l’India, principale fornitrice delle spezie, avrebbe incrementato affari e profitti.

La copertina del libro di Savio che riporta il Canale di Suez immaginato e disegno da Pigafetta

Per questo motivo, Pigafetta si reca da papa Sisto V, dal cardinale Ferdinando I de’ Medici, da Filippo II re di Spagna e dal doge di Venezia per convincerli della bontà e dei vantaggi del suo progetto. Inutilmente. Il papa lo sta ad ascoltare, lo approva anche, ma non ne ricaverà niente. Va ancora peggio a Venezia: alla corte del doge fanno orecchie da mercante, nel senso vero della parola. E per due motivi: da un lato sapevano che erano idee quasi irrealizzabili (come dimostrerà la Storia) ma soprattutto perché l’ostinato fervore anti-turco di Pigafetta per la Serenissima era addirittura controproducente nei rapporti con gli ottomani. Con i quali, alla fine, si doveva convivere. E possibilmente commerciare.

UN RITRATTO CURIOSO. Dal bel libro di Savio esce un ritratto curioso di Filippo Pigafetta, anche perché ritratti veri di lui non ci sono arrivati. Figlio illegittimo, non si sposò mai e non ebbe discendenti. Per scelta. Per lui prima di tutto veniva il lavoro, vissuto come un’autentica missione. E il suo lavoro consisteva nel raccogliere informazioni e possibilmente venderle, anche se qualche volta le regalava. Magari a chi gli pagava le spese, che erano consistenti, in quanto viaggiava come un diplomatico. Arrivò anche alla corte di Elisabetta I e più tardi viaggiò in Ungheria, Transilvania, Polonia, Svezia sempre per convincere i regnanti a stringere un’alleanza anti-turca.

Era un tipo riservato, come si conviene a chi traffica in notizie al pari delle spie: nessuno, per esempio, seppe mai dei suoi viaggi alle corti spagnola e inglese. Sui Paesi che toccava scriveva relazioni dettagliate: partiva dalla descrizione della geografia del luogo, poi delle strutture civili, di quelle militari, preoccupandosi anche dell’enogastronomia e perfino dei costumi delle donne locali. Vendeva le sue relazioni che erano sfruttate, naturalmente, per scopi militari. Era anche un bibliofilo convinto: comprava grandi quantità di libri che poi rivendeva agli amici. La biblioteca di Gian Vincenzo Pinelli, padovano e mentore di Galileo, fu realizzata grazie a lui. Ed è una delle più importanti d’Italia. La conclusione di Savio è che il Nostro, alla fine, guadagnasse bene.

FORSE ERA GAY. Frequentava il circolo politico-culturale di Giacomo Contarini, attivo tra Padova e Venezia. In contrapposizione ai “giovani” filofrancesi e innovatori, i “vecchi” delle famiglie Contarini e Barbaro erano legati al papa e guerrafondai. Dalle lettere di Pigafetta a Pinelli, esaminate da Savio, questi orientamenti emergono chiaramente. Come emerge anche la loro solida amicizia. L’autore non lo afferma, ma qualche passaggio della corrispondenza, specie laddove si firma “in tutto e per tutto tuo”, lascia aperta la porta all’ipotesi di qualche altro legame che nella Venezia della fine Cinquecento sarebbe costato parecchio. Il sospetto di omosessualità è sottolineato anche da un altro episodio: quando Pigafetta va a Parigi assieme al cugino Antonio Maria Ragone mentre quest’ultimo va a cercare prostitute lui passa il tempo sui libri. Può darsi che fosse proprio disinteresse e non solo passione per le biblioteche.