“Era un uomo semplice. Ricco di contraddizioni, perfino ingenuo. Conosceva tutto ma ha inciso poco, pochissimo. Perché? Boh, perché era fatto così. Di sicuro nessun pezzo suonato da Arturo Benedetti Michelangeli qualcun altro dopo di lui l’ha eseguito meglio”. È il ritratto del grande pianista tracciato da Roberto Cotroneo alla presentazione del suo libro Il demone della perfezione, edito da Neri Pozza, svoltasi alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza. L’incontro, introdotto dalla presidente Chiara Visentin è stato condotto da Nicoletta Martelletto, caporedattore de Il Giornale di Vicenza, che ha coinvolto nella discussione oltre all’autore anche Iolanda Violante, docente di piano al conservatorio Pedrollo di Vicenza.

 

 

 

Nel suo saggio-romanzo, Cotroneo racconta l’immenso pianista: gli aneddoti, che pure sono parecchi, servono tutti – ha spiegato l’autore – a definire il quadro di una persona sfaccettata, non bizzara. “Se gli domandavano Maestro, cosa possono leggere gli allievi dopo lo studio? E lui rispondeva Topolino ne era proprio convinto perché lo leggeva anche lui”. E ha aggiunto: “Viveva molte contraddizioni: non faceva vita mondana, non conosceva le lingue, neanche il francese che per un musicista dei suoi tempi era fondamentale; non aveva nessuna curiosità intellettuale se non il pianoforte; gli piacevano i reali e si definiva monarchico al tempo in cui Pollini prima dei concerti teneva appelli sulla guerra nel Vietnam”. (Nella foto, Roberto Cotroneo e il suo libro)
Però è diventato uno spartiacque nella storia della musica: “È stato inimitabile, il migliore del Novecento. Neanche Horowitz, seppure qualcuno lo sostiene, è stato migliore di lui. Lui resta il numero due: Horowitz si dimenticava pezzi interi durante le esecuzioni. Salvatore Accardo mi ha raccontato di aver ascoltato Benedetti Michelangeli eseguire trenta sonate di Scarlatti a memoria perfettamente, una dopo l’altra. Insomma, nessuno si può avvicinare al suo suono. Dopo di lui non si può più suonare… come capita, a seconda di come ci si svegliava la mattina”.

“La verità – ha proseguito Cotroneo – è che si confonde la rigidità del pianista attribuendola anche all’uomo. Non è così. A Brescia per il concerto in memoria di Paolo VI si fece consegnare tre Steinway gran coda: ognuno pesava sette quintali, vuol dire trasportare oltre due tonnellate. E decise solo all’ultimo momento su quale suonare. Certo, pretendeva che l’accordatore dormisse sul palcoscenico. Parlava con il pianoforte, lo insultava perfino: Tu non sarai mai un vero pianoforte! Perché il suo sua era un modo di di vivere un’ossessione, cioè l’ossessione della perfezione che può diventare, appunto, un demone”.

Ha proseguito Cotroneo: “Carlo Maria Giulini definì Michelangeli un uomo ancora sconosciuto. In realtà tutti i musicisti restano sconosciuti, perché hanno la caratteristica di essere artisti senza raccontarsi. Non succede con gli scrittori: il pianista esegue un pezzo, e interpretando un brano è impossibile che racconti se stesso come invece fa un autore quando scrive”.

Nicoletta Martelletto ha raccontato un paio di episodi vicentini legati a Benedetti Michelangeli. Il primo riguarda il suo concerto all’Olimpico, il 21 aprile 1968  (eccolo nella foto qui sopra) quando per non disturbare l’esecuzione furono fatti fermare i tram che circolavano attorno al teatro. Il secondo è legato ad Antonio Pellizzari, testimone il maestro Bepi De Marzi, presente all’incontro: Benedetti Michelangeli frequentava Arzignano e la casa dell’imprenditore, mecenate e musicista egli stesso. Una sera Benedetti Michelangeli eseguì un pezzo con un tocco impercettibile… per non disturbare il padrone di casa che s’era appisolato.