Non è Vicenza che sfila sul verde dello stadio, è l’Italia. Davanti al feretro di Paolo Rossi allestito nel suo “Menti”, si commuove e piange quella stessa Italia che alzava – come lui – le braccia al cielo quando il numero venti in maglia azzurra faceva piangere il Brasile. Era il luglio 1982. Raccontando quella partita, Giorgio Lago su questo giornale fulminò l’emozione di tutti con un incipit indimenticabile: “Bisognerebbe scrivere le parole dell’inno di Mameli e metterci la firma sotto”.

La camera ardente a cielo aperto accoglie in cinque ore la testimonianza di almeno cinquemila persone. Chissenefrega del freddo, Paolo scalda l’anima. Sugli spalti, il tabellone luminoso rilancia la sua immagine in azione con un commento: “Per sempre biancorosso”. In basso, la scritta “Ciao Paolo” lungo i parterre dello stadio incornicia la commozione. Forse non ce ne sarebbe neanche bisogno, perché il mito – come insegnava Cesare Pavese – non ha bisogno neanche del nome. Il mito è. Punto.

E infatti lui non aveva messo neanche il suo nome sul vino che produce a Siena. Ma era una questione di stile, non di presunzione. Lui era tutt’altro che snob, bensì amabile e alla mano. Provate a parlare con chiunque – con chi sfila a Vicenza rappresentando l’Italia – e avrete la stessa risposta: “È uno di noi”. E il suo ricordo, in tutti, è un sorriso dolce. Perché era una persona gentile. Mi raccontò anni fa: “Il calcio oggi è una cosa diversa. Facce troppo tirate, nessuno sorride”. E infatti vicino alla bara, un tifoso ha deposto la sua foto e un messaggio: “Pablito, il tuo sorriso ci ha anticipato anche questa volta. Ma dài…”.

A rendere omaggio alla sua umanità, non solo ai gol che realizzava spesso rapinando palloni volanti, tra i primi sono stati il sindaco e i vecchi compagni del Real Vicenza, quello che arrivò secondo in serie A nel 1978 dietro la Juventus. E poi Cesare Prandelli, che giocava con lui nella Juventus e Marco Tardelli, l’amico di sempre, che è rimasto vicino alla moglie Federica in mezzo al campo.

Scorrono i ricordi di chi passa davanti alla bara, lascia un fiore, si fa il segno della croce. Molti si asciugano una lacrima. C’è chi zoppica vistosamente, ma non è voluto mancare. Un altro si appoggia a due stampelle, fatica a camminare ma è talmente fedele che esce dallo stadio, compie tutto il giro, rientra e passa due volte davanti alla bara. Un anziano, sciarpa biancorossa al collo, s’è fatto accompagnare in carrozzella. Sfila la signora elegante, in cappello e stivale. Passa un tifoso che ha la maglia biancorossa numero nove sulle spalle: “È proprio la sua degli anni Settanta, guarda la firma e la dedica. L’ha regalata a mio suocero poliziotto in servizio d’ordine la domenica”. (Nella foto, Giorgio Perazzoli con la maglia di Rossi numero 9 del 1978)

Paolo Rossi è un pezzo della nostra vita, per chi l’ha conosciuto e per chi vive l’emozione che gli trasmettono i racconti di papà, mamme e nonni. L’identificazione supera le barriere del tempo: è comunque profonda. E ognuno ha un aneddoto o un ricordo. In questi giorni sono rimbalzati a Vicenza da tutta Italia. Un’insegnante che adesso vive a Taranto, ricorda i caffè mattutini nella pasticceria vicino al fiume. Per Francesca Traverso, padovana con libreria a Vicenza, era un frequentatore assiduo del negozio. Il che non era proprio abituale trai calciatori di quaranta e passa anni fa. Cristiano Seganfreddo, oggi docente di estetica all’università, mostra la foto di lui bambino e di quei calciatori ventenni che, assieme a Marino Basso, si trovavano spesso a cena in taverna con i genitori. Sfila davanti al feretro la professoressa che faceva fisioterapia assieme a lui, che cercava di  mettere insieme i cocci dei menischi. Ore di dialogo che tornano alla mente. C’è chi tira fuori il titolo del giornale della prima partita di Rossi con il Vicenza a Genova: vittoria in trasferta sotto una pioggia che neanche Noè avrebbe sopportato. C’è chi mostra il messaggio della morosa che non vede da quarant’anni: “Eravamo giovani, felici e innamorati e abbiamo visto assieme il mundial del 1982”.

Per lui è già pronto anche il film: si intitola “Mancino naturale”, con Claudia Gerini protagonista. Racconta del bambino Paolo che vuol diventare un nuovo Rossi, come sognava per lui il papà che non c’è più. L’hanno già finito di girare. Paolo aveva detto che sperava di riuscire in primavera a fare qualche ripresa. Ci credeva davvero. Perché nell’ultima intervista che gli ho fatto mi ribadì il suo motto: “Bisogna credere in se stessi e non mollare mai”.